Dove finisce la psicoanalisi e comincia la farsa
Nel quartiere San Prospero, tra una lavanderia chiusa dal 2008 e un centro yoga infestato da gatti randagi, regnava la dottoressa Wanda Freudstein.
Nessuno sapeva dove avesse studiato, né se avesse mai studiato davvero. Ma questo non le impediva di firmarsi “Psicologa Clinica Transgenerazionale Integrata” su biglietti da visita in corsivo color lavanda.
Aveva una missione precisa: analizzare tutto e tutti. Soprattutto me.
In quel periodo frequentavo un sito di scrittura creativa. Avevo lasciato un commento sotto una poesia erotica:
“Carino l’inizio, ma poi si perde un po’ in ripetizioni noiose e scontate, un po’ da Baci Perugina”.
Lei comparve dal nulla, subito sotto, con l’aria da oracolo in missione:
“Commento privo di spessore. Tipico di un comportamento da nevrosi ossessiva con tratti isterici e asettici. Lo dicevano anche Winnicott e i Beatles, benché parlassero di bambini e non di sonetti. È evidente: dietro la parola ‘ripetizione’ ci sono lapsus freudiani, depositi di idee, desideri consci ma più inconsci che consci. Non è critica, è sintomo, è metafora dell’iceberg.”
Da lì cominciò l’incubo.
Per Wanda io ero un caso clinico.
Sotto ogni mio intervento pubblicava commenti chilometrici citando Socrate, Platone, Jung, Lacan e, una volta, persino il manuale delle Giovani Marmotte:
“L’uso delle virgole nella crtica rivela una profonda ambivalenza affettiva nel pensiero coerente. Una seduta di psicodrammatica chiarirebbe molto.”
Chi l’aveva conosciuta davvero raccontava la sua casa come un museo dell’ego: diplomi falsi incorniciati, una foto ritoccata in cui compariva accanto a Oliver Sacks (in realtà il portiere del condominio), scaffali di libri mai letti e ancora incelofanati, ma citati con disinvoltura. Sul tavolino troneggiava un busto di Freud in gesso col naso spezzato e, sul divano, un cuscino ricamato: Keep calm and analizza.
Spesso scriveva: “Come diceva Melanie Klein nel suo trattato sulla posizione genuflessa e depressiva dell’anziano… o forse era pubblicità di una sedia a dondolo sul catalogo IKEA?”
Ma Melanie Klein non studiava la psiche infantile?
Imperturbabile, organizzava “gruppi terapeutici spontanei” ovunque: forum, blog, Instagram.
Diagnosticava chiunque e la qualunque: chi amava i fiammiferi di Prévert era un incendiario, chi adorava la brutalità di Hughes, un pervertito.
Sul suo blog, PsicoWanda – L’inconscio non dorme mai, proponeva articoli illuminanti come: “Se non ti piace Dostoevskij, sei emotivamente mobile”.
Poi, un giorno accadde.
Per un errore burocratico, fu inserita tra i relatori di un convegno di veri psichiatri clinici.
Si presentò puntuale: cardigan di lana, occhiali vintage, trucco pesante. Salì sul palco. Aprì i dieci fogli scritti a mano e iniziò:
“Il soggetto che ho studiato non è uno scrittore, ma un critico. È nelle critiche che si rivela la patologia: dietro un ‘interessante’ o uno ‘scarsamente interessante’ si cela il conflitto interconnesso del Super-Io con l’alter ego; nel ‘troppo ripetitivo’ si manifesta l’ossessione stessa della critica e del giudizio autoctono. Una laurea non fa un critico, ma un malato! I pareri non sono opinioni, ma sintomi. Sintomi gravi! E come diceva Aristotele… o forse era Totò, non ricordo.”
La diagnosi enunciata era chiara: nevrosi ossessiva con tratti isterici e componente narcisistica compensatoria kleineriana.
Nella sala cadde il silenzio. Poi uno, due, quaranta… centosessantotto risate.
Il moderatore la prese di forza e l’accompagnò fuori.
“Voi non sapete chi sono io! Ho studiato con Jung a Bergamo Alta! Ci parlo tutte le notti, in sogno!”
Dopo quel disastro, chiunque si sarebbe arreso. Ma non Wanda.
Si convinse che il mondo accademico fosse affetto da “psicosi collettiva da invidia epistemologica”.
Fondò il suo istituto privato, riservato a chiunque avesse subito almeno tre delusioni amorose, un trasloco traumatico e perso una botta in testa almeno due volte.
Intanto, nel quartiere continuava a dispensare diagnosi come fossero biscotti.
I bambini la evitavano, i gatti la temevano, ma lei era certa di essere una pioniera.
Un giorno pubblicai un racconto su di lei.
Lo commentò con 47 paragrafi e una minaccia di querela.
Poi scomparve.
Finalmente anche Jung e tutti i santi poterono dormire in pace.
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Hahaha sei unicaaaaa!
Mi ricorda qualcuno hahah 😀
A proposito di instagram, l’ho rimesso hahah 😀
Buona domenica Cri!
Ti voglio bene!
Davvero l’hai riconosciuta?????
Più o meno haha
PS: come fai ad aggiungere foto? 😀 ci ho provato anch’io con le mie ma quando le seleziono poi non le vedo boh 🙂
Ai “comuni mortali” non e consentito, xche x essere pubblicate vanno elaborate e rese leggere e bosogna aggiundere il tag ALT. Ma in futuro chissà
Ok 🙂