Quella che scriveva come se respirasse poesia
Non serve essere poeti per leggere Alda Merini. Anzi, forse è meglio non esserlo. Così puoi lasciarti colpire senza difese, senza cercare significati nascosti. Perché lei scriveva per tutti. Per chi ama, per chi ha amato troppo, per chi ha perso la testa o il cuore. Per chi ha vissuto.
Alda era una poetessa, sì. Ma era anche una donna con la sigaretta accesa, il rossetto sbavato e il cuore che faceva rumore. Era capace di passare da un verso sacro a una battuta da bar con la stessa grazia.
“La poesia è un atto di pace. La pace costituisce il poeta come la farina il pane.”
“Sono nata il 21 a primavera / ma non sapevo che nascere folle / aprire le zolle / potesse scatenar tempesta.“
C’era tutto: la vita, la malattia mentale, l’ironia, la fede, l’eros, il dolore e l’amore che sa diventare preghiera o bestemmia.
C’è chi la legge per farsi coraggio, chi per sentirsi meno solo, chi solo per sentire qualcosa.
“Beati coloro che riescono a ridere di sé stessi: non finiranno mai di divertirsi.”
Alda Merini era così: profonda e leggera, sacra e terrena, poeta e persona. Leggerla è come prendere un caffè con qualcuno che ti guarda dentro, ma non ti giudica.
E anche se non capiamo tutto quello che scrive, ci basta sentire che parla anche di noi.
che è passata per la porta accanto.
Ho lottato con la mia follia
e l’ho vinta a mani nude.
Ho amato uomini
che mi hanno strappato l’anima
e l’ho lasciata loro
perché non sapevo cosa farmene.
Sono stata nei manicomi
ma anche tra gli angeli.
Ho parlato con Dio
più di una volta
e Lui mi ha risposto
con il silenzio
e un bacio in fronte.
Non cercate di capirmi:
non ho tempo da perdere
a spiegarmi.
Alda Merini è nata a Milano il 21 marzo 1931, giorno di primavera — come amava ricordare lei stessa. È stata una delle voci poetiche più autentiche e ferite del Novecento italiano. Pubblica giovanissima, ma la sua vita prende pieghe profonde: entra e esce dagli ospedali psichiatrici, vive amori intensi, attraversa il dolore e la marginalità. Eppure — o forse proprio per questo — la sua poesia brucia di vita vera.
Scrive d’amore, di follia, di Dio, di corpi, di donne, di vuoti e ritorni. Ha vissuto in una Milano povera e potentissima, dove accoglieva poeti, giornalisti, sconosciuti e fantasmi. È morta nel 2009, ma i suoi versi camminano ancora tra noi. Non come reliquie: come ferite che parlano.
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