Vivere nella frattura, scrivere nella vertigine
Amelia Rosselli non è stata semplicemente una poetessa: è stata una frattura sonora nel silenzio della lingua.
Nata a Parigi nel 1930 da genitori antifascisti (il padre, Carlo Rosselli, fu assassinato dai servizi di Mussolini),visse in esilio tra Francia, Inghilterra e infine Italia. Ma l’esilio più profondo fu quello interiore: tra psicosi,dolori familiari e una sensibilità acutissima, Rosselli costruì una lingua poetica che non assomiglia a nessun’altra.
Multilingue per destino più che per scelta, Rosselli visse la lingua come un campo di battaglia. Scrisse in inglese,francese e italiano, ma fu quest’ultima la lingua in cui lasciò la traccia più incandescente, scardinando la sintassi, violentando il ritmo, reinventando la punteggiatura.
La sua poesia non è solo comunicazione: è un corpo ferito che cerca un equilibrio instabile tra razionalità e abisso.
Tra le sue raccolte più note ricordiamo Variazioni belliche (1964), Serie ospedaliera (1969) e Impromptu (1981).In ogni testo, Amelia Rosselli non concede mai al lettore un rifugio sicuro: lo porta con sé in una lingua che si spezza,si moltiplica, balbetta, si rovescia.
✍ Amelia Rosselli – da “Variazioni belliche” (1964)
Il mio cuore è un uccello migratore
che non trova paese
né stagione.
Il mio cuore è un assassino
che ha paura del sangue.
Il mio cuore è un cuore
che batte fuori tempo.
Lo sento.
Lo temo.
Lo amo.
In questi versi, apparentemente più lineari di altri suoi testi, ritroviamo una delle caratteristiche più potenti della Rosselli:l’uso della contraddizione come forma di verità. Il cuore è un migrante senza patria e, al tempo stesso, un assassino che teme il proprio atto. È un cuore che non ha luogo e non ha ritmo, eppure è terribilmente presente.
Rosselli riesce a far convivere, in pochi versi, tre tensioni:
- l’instabilità dell’identità, mai pacificata;
- la percezione di sé come minaccia e salvezza;
- l’impossibilità di aderire alla norma (anche biologica: un cuore che “batte fuori tempo”).
In questa apparente semplicità si nasconde la sua potenza: ogni parola è scelta con dolore, con necessità, con urgenza. Eppure, Rosselli non cerca mai di spiegarsi. Il suo è un linguaggio
oracolare, interrotto, franto, come se scrivesse dalla soglia del collasso.
“La mia lingua balbettava verità che nemmeno io sapevo.”
Leggere Amelia Rosselli significa rinunciare al conforto del verso ben costruito,
accettare di perdersi, farsi disarmare dalla lingua. È un’esperienza più che una lettura.
Eppure, chi ha orecchie per ascoltare il suo dolore stratificato, ne esce trasformato.
Rosselli non scrive per decorare: scrive per sopravvivere. E nel farlo, ha consegnato alla poesia italiana una delle voci più audaci, ferite, e perciò inimitabili del Novecento.
📌 Seguici e condividi la poesia anche sui social: