Mi chiamo Assunta e non respiro più

Mi chiamo Assunta, e non respiro più. La mia voce vi arriva da sotto terra, tra le ossa rotte e il sangue rappreso. Non c’è poesia qui. Solo carne lacerata e silenzio.

La mia storia iniziò come tante: fiori, carezze, promesse. Mario sembrava l’uomo perfetto. Gentile, premuroso, attento. Solo un po’ geloso. Diceva che mi amava. Io ci credevo. Che stupida.

Il primo ceffone arrivò come un lampo, ma non fu l’ultimo. Ogni volta più forte, più preciso. Diceva che ero sua. Che dovevo stare sempre zitta. Che da sola non ero niente.

Piano piano mi separò da tutti. Prima dalle amiche, poi dai miei fratelli, infine da mia madre. Ogni volta aveva una scusa pronta: “Non ti capiscono”, “Ti vogliono diversa da come sei”, “Solo io ti amo davvero”. Alla fine ero rimasta sola con lui. Ero sua.

Il primo pugno in faccia mi staccò un dente. Poi arrivarono le scuse, i fiori, le promesse. “Non succederà più”, giurava. Io lo perdonai. Lo perdonavo sempre, anche quando i lividi restavano addosso per giorni. Mi dicevo che era colpa mia: non lo amavo abbastanza, non lo rispettavo abbastanza, non facevo abbastanza, era malato. Così diventavo io la colpevole.
E in fondo pensavo: io lo salverò da se stesso. Credevo che il mio amore bastasse a guarirlo, che la mia pazienza avrebbe domato la sua rabbia. Non capivo che l’unica cosa che stavo domando era la mia vita.

Quando nacque mio figlio, tutto peggiorò. Non ero più solo sua. Ogni carezza al bambino era un tradimento. Ogni risata una condanna. “Non sei più la stessa, mi fai schifo”, urlava, e intanto le sue mani cadevano addosso a me. Più stringevo forte il piccolo, più mi picchiava. Ho imparato a fare scudo col mio corpo, per proteggere lui, Francesco. Ma nessun corpo basta contro certe mani.

Mi ha tolto il telefono, le chiavi, la libertà. Controllava i miei spostamenti, le mie parole, persino i miei respiri. Se provavo a ribellarmi, minacciava: “Se parli, ammazzo tua madre. Se mi lasci, prima ammazzo te poi tuo figlio”. Allora tacevo. Tacevo sempre.

La volta che mi ruppe un braccio chiamai la polizia. Arrivarono tardi, quando Mario già sorrideva. “Una lite tra coniugi”, dissero. Poi se ne andarono. Mi lasciarono lì, con il mio carnefice ancora più arrabbiato e il mio dolore intatto.

La fine arrivò in una sera qualunque. Non contai i colpi, solo il brillare della lama, il calore del sangue e la vita che mi abbandonava: quarantasette fendenti. Quarantasette condanne.

Ora vi parlo da qui, da morta. Per me non c’è più speranza. Ma per le altre sì. Non accettate il primo schiaffo. Non confondete mai la gelosia con l’amore. Non credete a chi vi dice “sei mia” come fosse una promessa. È una condanna.

Io non sono un’eccezione. Ogni tre giorni in Italia un’altra donna fa la mia stessa fine.

Femminicidio in Italia – Dati 2025

  • 60 donne uccise nei primi otto mesi del 2025
  • Nel 52% dei casi l’assassino era partner o ex partner
  • 36 figli minori rimasti orfani
  • 20 vittime accoltellate, 16 strangolate, 9 uccise con arma da fuoco
  • Il 64% dei casi concentrati in Lombardia, Toscana, Campania e Lazio
  • Età media delle vittime: 54 anni (la più giovane aveva 1 anno, la più anziana 93)
  • Almeno 10 donne avevano già sporto denuncia
  • In 1 caso su 3, le violenze erano note a familiari o vicini
  • Ogni 3 giorni, una donna muore per mano di un uomo in Italia
  • Il 100% dei femminicidi è preceduto da segnali ignorati o sottovalutati

Io sono una voce tra tante. Una voce che non dovrebbe più esistere, e invece torna dalla terra per dirvi una sola cosa: non aspettate di piangere sui morti. Fermate i vivi.

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1 commento su “Mi chiamo Assunta e non respiro più”

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